“La crepa e la luce” è più di un libro.
E’ il dono con cui Gemma Calabresi Milite consegna al lettore la memoria privata venutasi a costruire con l’omicidio di suo marito, il commissario Luigi Calabresi. Una memoria fatta di dolore, sofferenza, fede e amore.
Intensa la narrazione dell’umanità di questa donna. Limpide le parole con le quali l’autrice racconta della strada di perdono e riconciliazione percorsa un po’ alla volta con una grande fiducia in Dio che in quel terribile 17 maggio 1972, come descritto nelle pagine, era seduto sul divano accanto a lei. “Dio ha abbracciato me, e io lui”.
Piena della sensazione di un immensa pace, Gemma, giovane ragazza di 25 anni a cui avevano appena ammazzato il marito, si rivolge a don Sandro e gli dice di pregare insieme un’Ave Maria per la famiglia dell’assassino. Con questa precisa volontà, rafforzata dalle potenti parole scelte per il necrologio “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” Gemma Calabresi indicherà, forse inconsapevolmente, la strada del perdono ad un Paese “prigioniero di una catena di odio.
Nel libro emerge la grande fede di questa donna che, ci tiene a precisarlo, cambia proprio a partire dal tragico avvenimento. Una fede vissuta profondamente verso Dio, le persone, la vita stessa tradita da mani assassine e, nonostante tutto, da lei amata pienamente ogni attimo.
“L’ho amata tanto questa vita (…) nonostante il dolore non la cambierei con nessun’altra (…) E’ stato ed è un viaggio di amore e libertà”
Questa memoria privata, lunga 50 anni, si fa storia. Accoglierla significa contribuire a mantenerla viva con sentimenti di gratitudine per questa superlativa testimonianza.
Travolgente storia piena di sentimenti che oggi definirei surreali. Una storia da cui trarre una grossissima lezione di vita. Fa piacere credere ancora che al mondo esista tanta UMANITÀ.
Temi forti impongono riflessioni estreme: io penso che la vendetta sia un sentimento troppo frettolosamente liquidato da credenti e laici: da cosa discende riprovazione che raccoglie? Perché la ricerca di una giusta punizione da infliggere in prima persona all’artefice di un male ingiusto e’ divenuta una condotta socialmente censurabile? Perché ci sentiamo in colpa per la soddisfazione provata alla vista di un carnefice raggiunto finalmente dalla vittima? ? E’ chiaro a tutti che e’ conveniente delegare a terzi l’amministrazione della giustizia per evitare interpretazioni troppo partigiane, ma perché mai, dopo aver patito un male ingiusto (magari da un’istituzione), devo essere flagellato dalla riprovazione generale e negarmi anche la soddisfazione della raggiunta meta?
E’ giusto lo sdegno per l’aguzzino; ed e’ giusta ed auspicabile la ricerca della giustizia.
“non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono”. Penso che queste parole di Giovanni Paolo II traducano in pieno il senso di questo libro. Complimenti all’autrice ma soprattutto complimenti ad una donna e moglie coraggiosa.
❤️
Una lezione di vita e di fede si mescola ad un turbinio di sensazioni ed emozioni forti che oggi è difficile riscontrare nella quotidianità, sempre più impregnata da superficialità. Un libro da non perdere, sicuramente.
Una storia di grande intensità, nella tragedia vissuta la Signora Gemma riesce a trasmettere sentimenti di amore, perdono ed anche gioia.
Incantevole.